Gli addetti alla salicoltura: ruoli e gerarchia delle Saline
In passato, rispetto ad oggi, nelle saline vigeva un ben definito sistema gerarchico; esso era costituito da uomini che rivestivano delle specifiche mansioni ed espletavano ruoli diversi nell’ambito della stessa gerarchia.
Il gruppo dei salinari era caratterizzato da circa 35 operai; il coordinatore, chiamato “curatulu”, che godeva della fiducia dei proprietari, amministrava e sorvegliava gli impianti e i lavori. L’intervento del “curatulu” all’interno della salina era annuale, pertanto egli rientrava nella categoria degli “annalori”, veniva retribuito mensilmente, e usufruiva dell’abitazione per la sua famiglia e di una indennità di circa 20 centesimi per ogni salma di sale prodotta, chiamata “mazza a tumminu”.
Quando la salina era piuttosto estesa, era necessario oltre che il “curatulu”, anche un “suttacuratulu”, che lavorava o per tutto l’anno o solo per il periodo di raccolta del sale.
Un’altra figura nota nella gerarchia della salina era il “mulinaru”, colui che era addetto alla manutenzione e al funzionamento del mulino olandese “mulinu a stiddra”.
Questi, all’inizio della primavera, legava le pale di legno “‘ntinni”, procedimento che era chiamato “arbulari u mulinu”, poi vi attaccava le vele “‘mpaiava” e alla fine le allargava “‘ncucciava”, disponendole sulle varie pale e orientandole in direzione del vento “purtari u mulinu a ventu”.
Il ruolo del “mulinaru” era di estrema abilità, infatti bisognava intuire la direzione del vento e orientare il mulino; questo lavoro si prolungava per tutto l’anno, pertanto, il “mulinaru” rientrava nella categoria degli “annalori”.
Procedendo per gerarchia, troviamo gli operai che venivano assunti all’inizio della stagione del sale, detti “staciuneri”, pagati mensilmente, che pulivano i canali, ordinavano le vasche, trasferivano le acque e componevano mucchi di sale “munziddruna”, coprendoli con delle tegole.
Quando gli “staciuneri” non riuscivano ad espletare il lavoro della salina si ricorreva ad uomini di aiuto “omini d’aiutu”, tra questi vi erano anche gli apprendisti, cioè ragazzi di 14 anni che in gruppi di tre ricevevano il salario di due adulti, detti per questo “trippiddui”; vi erano pure i quindicenni che trasportavano il sale per mezza giornata e percepivano il salario al 50%, questi venivano chiamati “menzaiurnata”.
Vi erano altri operai addetti alla raccolta del sale che lavoravano a cottimo, chiamati “omini ‘dda venna”; essi si distinguevano in tre partitara ed un aiutante per ogni casella, con il compito di frantumare il sale ed accumularlo. Altri operai erano coloro che raccoglievano il sale con le pale “palitteri” ed altri con le ceste “cattiddrara”; infine c’era un altro aiutante che, con una “spiriceddra”, riversava l’acqua nelle “caseddri” in una retrocalda (vasca), detto “assummaturi d’acqua”; vi era anche un operaio “pitiniaru”, che raccoglieva quella minima quantità di sale detta “pitinia”, che rimaneva alla base di ogni “munziddruni” dentro la casella; ancora c’era un uomo “tavularu” che disponeva di tavole di legno “tavuluna” che metteva tra l’“ariuni” e il cumulo, dove i salinari salivano per svuotare le ceste di sale; altra figura nota era il ragazzo “acqualoru”, che distribuiva l’acqua da bere contenuta in un recipiente di terracotta, detto “quartara”. Per ultimo restava il ragazzo “baddaronzularu” mandato dagli “staciuneri” come riconoscenza al “curatulu”.
L’ultima figura della scala gerarchica della salina era “u signaturi”, che contava le “catteddre” di sale trasportate sull’“ariuni”. Questi segnava sulla “tagghia” le “sarme” (ogni salma era costituita da venti chili di sale); inoltre “u signaturi” comunicava al “curatulu” quanto sale era stato raccolto per ogni “caseddra” e poi azzerava la “tagghia”.
Purtroppo, oggi, questo tradizionale sistema gerarchico si è sfaldato, trascinando con sé tutto il duro lavoro ed il sacrificio degli uomini che in passato diedero un importante contributo all’universo umano della salina.
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