La piscicoltura nelle saline di Trapani
E’ ormai noto che nuovi e sempre maggiori interessi scientifici ed economici, unitamente ad una diversa dieta caratterizzata da un consumo crescente di prodotti ittici, nonché il continuo aumento della popolazione mondiale, abbiano indotto l’uomo alla ricerca di una valida alternativa alle abituali risorse alimentari; tale è stata definita la scoperta dell’acquacoltura: produzione ed allevamento di “novellame” a carattere industriale, il cui ciclo dura da 2 a 3 anni.
L’acquacoltura in Sicilia, nonostante abbia un uso recente, ha una tradizione remota, tant’è che la si può far risalire ai Romani, i quali avevano creato dei “piscinarium” servendosi di pozze costiere scavate nel tufo.
Nella odierna Sicilia, le maggiori aree idonee alla produzione di sale ed alla piscicoltura sono quelle del versante occidentale e nella fattispecie il tratto di costa compreso fra Trapani e Marsala, poiché sia la temperatura mite dell’acqua, sia il suo basso grado d’inquinamento favoriscono questo tipo di attività.
Nel trapanese, le saline che alternano la produzione del sale a quella della piescicoltura sono le seguenti: Galia Cascio, Bella, Maria Stella, Chiusicella, Calcara, Morana, quest’ultima comprende la Vecchia, la Vecchiarella e la Alfano (gruppo S.I.E.S.).
Gli allevamenti maggiormente praticati nel comprensorio sono essenzialmente di tre tipi: estensivo, semintensivo ed intensivo; la loro differenza è dettata da un intervento più o meno marcato nella fase produttiva del novellame.
Il sistema estensivo è quello che, fra i tre poc’anzi elencati, non prevede l’intervento dell’uomo, poiché le specie ittiche allevate traggono il loro nutrimento direttamente dall’ambiente naturale.
Nel sistema semintensivo, l’intervento dell’uomo, caratterizzato da una pulizia periodica degli invasi, è parziale.
In questo tipo di allevamento, il nutrimento naturale dell’ambiente circostante non è più sufficiente, di guisa l’uomo deve intervenire distribuendo periodicamente scarti di pesca o mangime artificiale.
I ricambi d’acqua vengono assicurati dalle maree o da stazioni di pompaggio. Infine, nel sistema intensivo, l’uomo agisce in maniera totale agevolando una più veloce e sicura crescita dei pesci.
Comunque, per la quantità di pesce allevato, gli impianti di più notevole sviluppo sono i cosiddetti “allevamenti intensivi”, realizzati sulla terraferma.
Nelle saline, le vasche adibite alla coltivazione del pesce sono quelle prossime al mare, ossia le cosiddette “fridde” e “vasi”, le quali sono caratterizzate da una salinità e da una temperatura più basse, rispetto agli altri invasi esistenti nelle stesse saline.
Nelle “fridde”, in base a quanto è stato detto sopra, si coltiva l’orata “arateddra”, invece, nei “vasi” la spigola “spina” ed il cefalo “muletto”, quest’ultimi resistono anche là dove la salinità è maggiore.
Nelle “fridde”, altre specie ittiche presenti sono: l’anguilla “anciddra”, la salpa “mangiaracina”, il sarago, la sogliola “linguata”, il nono “muzzaro”.
I lavori di preparazione, relativi alla coltivazione del pesce si verificano verso la fine del mese di dicembre e consistono nella pulizia delle vasche, ossia nell’eliminazione di gran parte del fango “fangu vivu” depositato in esse, facendone rimanere una minima parte per lo sviluppo della flora marina, necessari per l’alimentazione dei pesci.
Ultimati i suddetti lavori, i salinari si apprestano ad alzare gli appositi sportelli in legno “i vucchi”, necessari a garantire l’afflusso d’acqua ed al suo rinnovamento; l’apertura degli sportelli deve raggiungere i 20 cm. Nel mese di gennaio, essi vengono abbassati per non permettere che l’acqua superi i 100-120 cm.
La pesca del novellame “nunnata”, che avviene nel periodo compreso fra febbraio e marzo, ha luogo o lungo le coste del litorale trapanese o lungo i seguenti fiumi: Lenzi, Verde Rame, Morici; la rete usata per questo tipo di pesca è lo “sciabbicune”, molto fitta soprattutto verso la fine; al centro di quest’ultima vi è il “puzzale”, il cui scopo è quello di imprigionare gli avannotti.
Nei tempi passati, il materiale usato per la realizzazione di questa rete era il cotone, oggi è il nàilon. Una volta pescati gli avannotti, i salinari versano quest’ultimi nelle apposite vasche “fridde e vasi”. Le fridde sono alimentate o da acqua proveniente direttamente dal mare, o dalle stazioni di pompaggio.
L’acqua marina trasporta plancton, un alimento fondamentale per i molluschi, che trovano il loro habitat la sabbia e il fango.
Fra la specie di molluschi presenti nelle vasche, la più comune è quella del “cardium costatum”, che costituisce il maggior nutrimento dell’orata.
verso la fine di dicembre si assiste alla tradizionale raccolta del pesce, attraverso metodi prettamente artigianali, quali l’entrata dei salinari nelle suddette vasche quando l’acqua raggiunge un livello minimo, utilizzando reti come il coppo e “u rizzagghiu”.
Il coppo è uno strumento munito di un retino, al quale è agganciato un manico in legno. “U rizzagghiu” consiste, invece, in una rete dalla circonferenza di circa 12 metri, che dapprima viene raccolta in una mano e successivamente gettata all’interno delle vasche.
Dopo la cattura del pesce, i salinari distribuiscono il pescato in diverse cassette, secondo la diversa specie e il diverso peso, che mediamente non deve superare i 400 gr., per poter così dare vita ad un fiorente mercato, nonché a piatti succulenti. E’ usanza dei salinari festeggiare la fine della pesca con una abbondante mangiata di pesce.
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